E voi siete tutti volontari?

scritta volontari in inglese fatta con dei palloncini. è un'immagine strettamente decorativa

Alzi la mano chi non ha mai dovuto rispondere a una domanda come questa.

Purtroppo tra le leggende metropolitane dobbiamo ricordarci che esiste anche questa: la credenza che chiunque lavori nel Terzo Settore sia un volontario. Una persona che si presta a titolo gratuito per il bene dell’Ente.

Sappiamo bene che non è sempre così.

Ma come possiamo cambiare la narrazione?

Parto da lontano, da un episodio che ho vissuto in prima persona.

Un giorno si presentano in ufficio da me due signore che volevano organizzare una raccolta fondi in memoria di una cara amica. Dopo aver raccontato loro i progetti dell’Ente non profit presso cui lavoravo, un po’ di numeri e qualche storia dei beneficiari, mi sono sentita rivolgere questa domanda: “Ma la donazione che faremo, andrà a coprire anche i costi di struttura e i costi dei dipendenti?

È una FIGATA ricevere queste domande. Lo dico ora, a mente fredda, perché fa capire che la persona che hai davanti non ha visto il non profit solo come un qualcosa di carino e coccoloso che fa del bene per i poveretti, ma ha capito che c’è qualcosa dietro.

Il punto è accompagnare queste persone a capire il perché di quel qualcosa, tutto con estrema trasparenza.

Ho quindi spiegato una cosa che per noi che la viviamo tutti i giorni è ovvia, ma per gli altri non così tanto.

Le organizzazioni non profit, soprattutto se hanno come mandato quello di generare impatti di un certo tipo, hanno bisogno di professionalità che aiutino a generare quell’impatto. Servono quindi educatori, psicologi, medici, infermieri, comunicatori, amministrativi, fundraiser. Sono di fatto aziende che hanno l’esigenza di avere persone che conoscono il mestiere e queste persone vanno pagate.

Non profit non significa no spese, perché il nostro core business, il nostro impatto positivo, non è legato ai soldi risparmiati. Certo, le spese devono essere oculate e bisogna prestare attenzione, ma i professionisti vanno (o almeno questa dovrebbe essere la prassi) pagati e su alcune risorse vale anche la pena investirci un po’ di più, soprattutto se si pensa possano essere un valore aggiunto.

Così come le aziende investono per avere i migliori commerciali, i migliori professionisti del marketing e via discorrendo, è importante che gli enti non profit scelgano le persone da inserire nel loro team con l’obiettivo di realizzare al meglio la loro mission.

Ovviamente non mi sono dilungata così tanto con le due signore, ma, spiegando loro il valore della professionalità, mi sono sentita dare questa risposta: “Certo, anche il mondo non profit italiano sta crescendo e inizia ad assomigliare a quello anglosassone”. 

Qua forse mi sarei dovuta alzare per abbracciare la signora, ma mi sono contenuta. Però aveva capito il succo.

Ma concedimi una riflessione ulteriore

Uno dei primi pensieri che ho avuto quando ho iniziato a fare questo lavoro era proprio il tema dei soldi: “Ma quindi io che chiedo soldi sono un costo per l’Ente e nel chiedere i soldi mi pago anche lo stipendio.”

Beh, che novità. Qualsiasi persona che lavora produce e si paga lo stipendio. Eppure nel non profit stride un sacco.

A distanza di 8 anni da quando ho iniziato a fare questo lavoro posso assicurare che quello del fundraiser è un lavoro a tutti gli effetti. La componente di “bontà” del lavoro c’è, è evidente, ma sempre di lavoro si tratta. Si percepisce uno stipendio, che ci permette di campare, ma grazie alla nostra professionalità si stringono relazioni, si consolidano reti, si fa crescere l’organizzazione.

Si può vivere senza fundraiser?

Hai voglia! Però con tutti i limiti del caso. Una raccolta fondi destrutturata è una raccolta fondi che arranca e anno dopo anno fa fatica ad essere stabile. In questi casi può succedere che sia necessario il doppio dell’impegno per riuscire a portare a casa dei soldi per i progetti.

Si può vivere anche senza educatori, pure senza psicologi, ma anche senza medici. Però la professionalità di un educatore non si può trovare in un volontario: per quanto possa metterci tutto l’impegno possibile e il buon cuore, questo non basta.

E poi, quando a casa hai un tubo rotto, non chiami l’idraulico?

Se si vuole crescere e si vuole generare un impatto positivo, è necessaria la professionalità. Servono persone capaci e che sappiano come muoversi in determinate situazioni.

I volontari sono complementari alla professionalità. Fanno parte di quel puzzle complesso che costituisce ogni ente non profit. I volontari possono essere un valido supporto nella realizzazione dei progetti e delle attività, ma non possono essere il sostituto di un professionista.

Non sarebbe corretto.

Salvo occasioni di prestazioni pro-bono, ma questa è una storia completamente diversa. 

Ah, ho perso per strada le due signore

Beh, loro hanno scelto di sostenerci, proprio perché hanno capito che avevano scelto una realtà concreta e professionale.

Quindi, soprattutto se viene esplicitamente chiesto, raccontiamo senza paura che una parte della donazione serve a coprire i costi di gestione e motiviamo il perché: solo così potremo smettere di alimentare una narrazione parzialmente errata sul mondo sociale.

E tu cosa ne pensi?

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