Quando ho preparato la valigia per il Festival 2021, la stanchezza era lo stato d’animo centrale. Arriviamo da mesi di aperture, chiusure, home working, call, presenza online, lavoro in presenza, mascherine, gel disinfettanti, termometri… mesi in cui si continuano a contare i contagi con ondate a più riprese. Oggi meglio, oggi peggio, meno tamponi, più tamponi.
Parlare di contaminazioni nel pieno della pandemia non è proprio semplice, ma ciò di cui ti parlo qui afferisce alla sfera di ciò che c’è di buono nelle contaminazioni. Quello che può portare valore al nostro lavoro di Fundraiser.
Faccio una premessa.
Perché scrivo questo articolo?
Finito il Master in Fundraising mi sono resa conto di come questo lavoro ti richieda ogni giorno di lavorare in modalità interdisciplinare e multidisciplinare, soprattutto se si lavora in piccole realtà non profit dove è importante avere occhi ben aperti e orecchie ben dritte, curiosità e tanta voglia di costruire da zero più e più volte.
Il fundraising non è fatto di compartimenti stagni.
La mia esperienza universitaria mi ha portato a vivere a stretto contatto con persone di facoltà diverse. L’ho raccontato diverse volte da queste parti, ma mi fa sempre piacere parlarne. Vivevo al Collegio Einaudi di Torino e sul mio piano ogni giorno si creavano animati dibattiti tra futuri ingegneri informatici, filosofi, ingegneri fisici, architetti, farmacisti, letterati, pedagogisti, artisti etc. etc. Ognuno portava il suo modo di approcciarsi alle cose, il suo sguardo sul mondo, le sue capacità e un proprio ambito di studio. Da questa commistione di mondi nascevano grandi opportunità di scambio e riflessione.
Ecco, il fundraising mi piace pensarlo un po’ così. Perché a mio avviso è una disciplina che richiede apertura e contaminazione.
Me lo immagino un po’ come quella lunga tavolata che condividevamo ogni sera in Collegio, quei lunghi dibattiti in cui ognuno di noi usciva arricchito. Quegli scambi che finivano sempre con una ricerca di informazioni su internet, perché era necessario saperne di più.
Durante gli anni universitari ho capito quale sia l’importanza di farsi contaminare, di lasciare aperta la porta personale per accogliere idee differenti e saperi diversi dal nostro. Da quegli incontri, dalla diversità delle cose, nascono le idee più forti.
Come e da cosa farsi contaminare?
Ovviamente non c’è una ricetta precisa, tipo “prendi un po’ di Montemagno, aggiungici del Kothler, aggiusta con dei Ferragni e condisci abbondantemente con Massimo Recalcati. Infine decora con Francesco Costa e servi caldo con una buona dose de Il Post”. No.
A mio avviso, per ottimizzare, serve una mappa di quello che ci piacerebbe approfondire.
Non devi approfondire tutto subito, ma vale la pena fare un elenco delle skill che ti servono e che ti interessano anche per specifici lavori che stai seguendo.
Penso poi che l’interesse e la necessità vadano di pari passo se stai svolgendo un lavoro che ti appassiona veramente e quindi il tuo obiettivo è farlo sempre meglio. Bada bene, non sto parlando di diventare cintura nera di avanzamenti di carriera. Quello viene dopo. Prima di tutto la contaminazione avviene per noi e per l’oggi. Poi certo, ha un’inevitabile impatto sul futuro, sul cv e quant’altro, ma quando sei on the road per la contaminazione…insomma ce ne vuole prima che quella ti porti validi risultati sulla carriera.
Qualche suggerimento…
Personalmente, da quando faccio la fundraiser, ho capito che ci sono alcuni argomenti di cui vorrei sapere di più. Provo a fare una lista.
Per qualcuno ho già trovato delle risposte, per altri…ci sto lavorando!
Marketing: lo dico. Il fundraising è marketing, applicato al sociale, ma lo è. Inevitabilmente e senza nasconderci troppo dietro buonismo e quant’altro. È marketing perché devi pensare al target, al tono di voce, alla strategia per emergere…
Per approfondire il marketing seguo newsletter di freelance che aiutano i piccoli brand a promuoversi e anche chi parla di personal branding. Condisco il tutto con le letture di Kotler, che sarà banale, ma è sempre sul pezzo anche a 90 anni. Un po’ come Bauman e la sua società liquida. Anche quello dovrebbe essere nella libreria dei fundraiser!
Storytelling: termine abusatissimo che ben si sposa con il content marketing. Proprio così, seguire persone che fanno storytelling, newsletter costruite ad hoc o personaggi che spiegano cos’è il content marketing ti può aiutare a narrare meglio l’organizzazione e i progetti.
Ho fatto un corso nel 2020 alla Scuola Holden, dove ho appreso gli strumenti base dello storytelling. Non sono diventata esperta, ma, credimi, è davvero interessante capire gli schemi narrativi e come costruire un racconto che stia davvero in piedi!
Design Thinking: altro termine abusatissimo! Perché dovremmo occuparci di questo? Personalmente ciò che mi aiuta a ragionare e a pensare in una modalità più smart mi incuriosisce e mi affascina. L’agile e le sue tempistiche, il metodo di lavoro scrum, la protipazione, i test… sono applicabili a prodotti come le campagne di raccolta fondi. Certo, ad oggi non esistono corsi ad hoc per il fundraising, ma sul marketing trovate diverse proposte.
Nel 2021, anno in cui scrivo questo post, ho scelto di frequentare un master in Digital Transformation e ora sto seguendo un corso online di Design Thinking. Vi assicuro che è davvero molto interessante e utile! Ne avevo parlato tempo fa, vi lascio qua il link al post.
Blog, newsletter e voci da seguire (o ascoltare!)
C’è una cosa che mi sento di consigliarti. A dire il vero più d’una. Ecco qua di seguito la mia lista personale di contaminazioni. Ogni mese ne parlo sulla newsleTTeR e la lista si allunga sempre molto.
C’è una chat di 4 ragazze che è attiva o, forse meglio, iperattiva da quasi un paio di anni.
Era l’estate del 2019 e io quella mattina avevo chiesto di lavorare in smart working (troppo avanti!) perché la sera prima ero caduta dalle scale della Stazione Centrale di Milano e avevo una caviglia gonfia, ma talmente gonfia che ancora mi chiedo come abbia fatto a trascinarmi fino a casa.
E mentre meditavo sull’antico mondo sconosciuto, pensai allo stupore di Gatsby la prima volta che individuò la luce verde all’estremità del molo di Daisy. Aveva fatto molta strada per giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter più sfuggire. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, in quella vasta oscurità dietro la città dove i campi oscuri della repubblica si stendevano nella notte. Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C’è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia… e una bella mattina… Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato.
Il grande Gatsby – F. S. Fitzgerald
Il Festival del Fundraising è alle porte, è quasi l’ora di tuffarsi in mezzo a sessioni, saluti, abbracci, risate, feste, pranzi, cene, networking, aperitivi, collane di fiori hawaiani, prato, sole, sale…
Aspetta un secondo, ti voglio fare una domanda: perché vai al Festival?
Tra mailing da approvare e report da preparare, sì anche ai Fundraiser ogni tanto sale lo sconforto. E ti ritrovi alle 18.00 a sgranocchiare gallette mentre prepari i ringraziamenti per i donatori.
Che poi le gallette non si sgranocchiano per fame, ma più che altro per sfogare l’ansia da: “C’è sempre un sacco da fare!”
Facciamo sì il lavoro più bello del mondo, ma anche a noi capitano i periodi di estremo disagio in cui l’unica campagna che vorresti mandare in stampa è: “Adotta un fundraiser!”, ma non lo fai perché vuoi troppo bene alla causa per cui lavori!
…un’altra storia da vivere c’è, ora! Cantava così qualche anno fa Piero Pelù e voglio fare mia questa frase pensando al prossimo Festival del Fundraising.