Non Profit Women Camp

C’è una chat di 4 ragazze che è attiva o, forse meglio, iperattiva da quasi un paio di anni.

Era l’estate del 2019 e io quella mattina avevo chiesto di lavorare in smart working (troppo avanti!) perché la sera prima ero caduta dalle scale della Stazione Centrale di Milano e avevo una caviglia gonfia, ma talmente gonfia che ancora mi chiedo come abbia fatto a trascinarmi fino a casa.

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A Parma le statue parlano!

In questo momento, che ci vede nuovamente in lockdown, mi piace tornare con il pensiero alla vacanza che ho fatto quest’estate e che mi ha portato in giro per l’Italia. Ti avevo già raccontato della mia esperienza al Piccolo museo del diario, che non mi stancherò mai di definire meravigliosa.

Oggi andiamo a Parma, ma prima di arrivarci la prendo un po’ larga e faccio un salto a Broadway, nello specifico nel musical di Mary Poppins.

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Non fermiamoci ad aspettare!

Credo che questo sia uno degli articoli più difficili che mi sia mai capitato scrivere, almeno fino a oggi.

Sono giorni che mi appunto informazioni, dati, link, cose che mi piacerebbe far convergere qua dentro, ma l’impressione, ogni volta che mi metto al PC, è che non sto aggiungendo niente di nuovo a quello che dicono tutti.

Perché di parole, parole, parole se ne stanno spendendo molte in questi giorni. Perché chi ha tempo parla e chi non ha tempo per stare a parlare, mette le mani nella cacca e fa, porta avanti qualcosa, inventa, crea, si adatta, corre, non dorme.

Sono giorni difficilissimi, giorni in cui siamo a casa, in smart working, non sappiamo neanche più bene che ore sono.

Penso di parlare a nome di tutti nel dire che questa situazione è un vero trauma, prevedibile o meno: vedere il mondo fermo non piace a nessuno. Fa impressione.

Affacciarsi alla finestra mentre faccio le telefonate di lavoro è inquietante. Spaventa. Le strade di Torino sono deserte, ieri ho fatto la coda per andare al mercato, quel mercato dove di solito facevo due passi il sabato mattina per rilassarmi e fare la spesa di frutta e verdura per la settimana.

Non si vive più la gioia del passeggiare. Le nostre uscite sono legate al fabbisogno. Si esce, si fa la spesa, si torna a casa. Quando si passeggia per strada per spostarsi verso il supermercato, si vive la strana sensazione che quello che stiamo facendo non è completamente giusto e per questo deve essere portato a termine nel più breve tempo possibile.

Questa è la vita di tutti. Si lavora di più, si è stanchi, si riposa male, si cucina tanto, si fa yoga e pilates, ci si sente on line e si è tutti un po’ frastornati.

Il Non Profit Women Camp è stato rimandato a data da destinarsi (sperando che vengano tempi migliori!) e il Festival del Fundraising è posticipato a settembre.

IL MONDO NON SARA’ PIU’ LO STESSO

Proprio così, ne usciremo cambiati, inevitabilmente.

In questi giorni sto guardando Downtown Abbey, una serie tv sicuramente non nuova, ma che da tempo era nella lista delle cose che mi sarebbe piaciuto vedere.

Sono alla seconda stagione che è ambientata nel periodo della Seconda Guerra Mondiale. Le frasi: “Il mondo non sarà più lo stesso”, “Il mondo cambierà” sono praticamente in tutte le puntate, perché la guerra è stata qualcosa di grosso, che ha toccato il mondo e la sensibilità delle persone. Ha portato loro a modificare i ritmi di vita, lo stile di vita.

La guerra che stiamo combattendo noi è qualcosa di strano. Il nemico è un esserino minuscolo, invisibile. Eppure ci ha sconvolto la vita, ci ha fatto cambiare la nostra quotidianità nel giro di pochissimo tempo. Le trincee sono negli ospedali e a noi non viene chiesto di arruolarci o di andare come crocerossine negli ospedali da campo. Dobbiamo combattere stando a casa, sul divano, cercando di portare avanti l’economia per quanto possibile. Perché non ci si può fermare del tutto! E possiamo farlo grazie al mondo digitale.

E IL FUNDRAISING COME STA?

In questi giorni in cui sembra di stare in un film, anche il fundraising sta vivendo un periodo di trasformazione. Una trasformazione che ci segnerà fortemente e di cui a parere mio non bisogna avere paura.

Certo, è difficile non averne, ma dobbiamo reagire positivamente. Noi fundraiser siamo esseri creativi per natura, la situazione attuale ci sta chiedendo di reinventarci, ci sta ponendo di fronte a una sfida che però, credimi, è solo una grande opportunità.

In questo periodo dove è difficile trovare sfumature positive, provo a individuare 5 buoni motivi per cui questa situazione ci darà una mano. Non sono in ordine di importanza, per questo al posto del progressivo 1, 2, 3…preferisco un A, B, C…

a. IL DIGITALE

Ebbene sì, in pochi giorni siamo diventati re e regine delle videocall. Conosciamo le pareti di casa dei nostri colleghi, i figli, le ciabatte, le tute. Sappiamo che faccia hanno le nostre colleghe appena sveglie e struccate, sappiamo saltare da una piattaforma all’altra per tenerci in contatto.

Ma abbiamo capito anche che i donatori donano on line, se gli viene chiesto bene e se a farlo è un volto per loro amico.

Non ci sono funnel che tengano. Il donatore quando schiaccia quel tasto “DONA” non deve più essere convinto. Deve solo poter donare.

Lo storytelling deve essere prima: il bisogno, il caso, il progetto devono essere tutti espressi e presentati prima, bene, in modo chiaro e trasparente.

A tal proposito vi invito a leggere un articolo che Francesca Arbitani ha pubblicato sul suo profilo LinkedIn e che trovo molto in linea con quello che si è verificato in questi giorni sotto gli occhi di noi fundraiser.

b. LA CONCRETEZZA

Di pari passo con il successo della raccolta fondi dei Ferragnez va la concretezza.

Chiediamoci: perché tutte queste persone si sono messe a donare?

Tentativo di risposta: Perché sono i Ferragnez e loro potrebbero chiedere qualsiasi cosa ai loro follower?

Non diciamo eresie. Io non sono una loro fan, ma ho apprezzato questo gesto perché la loro raccolta fondi risponde a un bisogno reale, concreto e sotto gli occhi di tutti. Se non ci sono posti in terapia intensiva, la gente muore.

I soliti rosiconi hanno sottolineato che hanno scelto un ospedale privato.

Ricordo che proprio Fedez ha detto che avevano sentito un altro ospedale (dicono sia il Sacco) e che purtroppo non era riusciti a rispondere alla loro proposta, perché troppo impegnati per il Covid-19, ma soprattutto perché non c’era nessuno che poteva occuparsi di Raccolta Fondi.

c. LA RETE

In questi giorni quello che mi colpisce positivamente è la nostra rete di fundraiser, perché vedo che sono in molti quelli che si stanno spendendo per dare consigli o condividere “quello che sanno” gratuitamente.

Certo non è mai una lezione di fundraising cucita sulla tua organizzazione, ma ci sono molte dirette, organizzate con esperti, che permettono di fare domande e chiarire dubbi e perplessità che hanno un po’ tutti.

La rete è fondamentale, perché senza già normalmente si rischia di perdersi, figuriamoci in questi momenti! Attenzione, però, che la rete non deve diventare un modo per scaricare qualsiasi pensiero si presenti nell’anticamera del nostro cervello. Il networking deve essere costruttivo, l’ansia c’è, ma va messa da parte per costruire insieme e andare avanti.

d. LA CREDIBILITÀ E L’ETICA

Un altro tema su cui è bene tenere i piedi saldi in questo periodo è la credibilità e l’etica delle organizzazioni. Siamo tutti messi male, su questo non ci sono dubbi, ma cavalcare l’onda Covid-19 organizzando raccolte fondi più o meno in linea con la propria mission potrebbe essere un boomerang che vi si ritorce e ci si ritorce contro.

Questo non è il momento di chiedere come sempre, è il momento di chiedere se effettivamente il Covid vi ha recato dei danni tangibili, altrimenti bisogna trovare un modo per chiedere quando sarà il momento opportuno e dedicare questi momenti agli aggiornamenti, allo storytelling.

È il momento della community, non quello della redemption.

Dal Terzo Settore ci si aspetta etica nelle azioni, ricordatevi che se uno solo di noi fa una mossa sbagliata, poi ne siamo coinvolti tutti. Non mi sembra il momento buono per scivolare sulle bucce di banana!

e. LA PRESA DI COSCIENZA

Quello che ci porterà questa situazione è una grande presa di coscienza, su di noi, sulla nostra organizzazione, sulla nostra raccolta fondi.

Sicuramente ne usciremo sofferenti, ma sofferenti non vuole dire sconfitti. Ricordiamo che la sofferenza porta con sé la riflessione. È bene dedicare questi periodi a momenti di analisi e ri-pianificazione.

Sul tavolo, e quindi in discussione, va messa la strategia di questo e del prossimo anno. Non perché non siamo stati bravi, del resto non abbiamo una sfera di cristallo, ma perché non stiamo guardando passivamente una puntata di Black Mirror e, quindi, quello che succede ci deve portare a ripensare le nostre strategie.

Abbiamo la fortuna di poter essere attori in questa dimensione strana che stiamo vivendo. Dobbiamo saper leggere quello che accade, capire che i Ferragnez non sono nostri nemici e che sì, nel 2018 avevano fatto una raccolta fondi fallimentare, ma che al secondo tentativo sono stati molto bravi. Così bravi che hanno dato una botta di vita al nostro digital fundraising.

Abbiamo la fortuna di essere nel 2020, la tecnologia è a disposizione. Sfruttiamo questo periodo per ritagliarci qualche ora di studio di qualcosa di tecnologico. Il Terzo Settore è molto indietro sul digitale, vuoi perché non si vuole investire, vuoi che il board non ci crede abbastanza… ora abbiamo i numeri a nostro supporto. Usiamoli!

Un’altra cosa che abbiamo imparato in questo periodo, e che speriamo abbiano imparato anche ai piani alti, è che gli ospedali hanno bisogno di fundraiser. Okay, la sanità in Italia è pubblica e certo, dovrebbe essere lo stato a provvedere, ma sapete quanti lasciti ricevono gli ospedali? Non c’è niente di strano, molte persone sono disposte a ringraziare i medici e le strutture se hanno risolto loro un problema. Ne avevo parlato tempo fa anche da queste parti.

NE USCIREMO?

Ne dobbiamo uscire e dobbiamo trarre tutto ciò che c’è di buono da questa esperienza. Probabilmente seguirà un periodo difficile, dovremo rimboccarci ancora di più le maniche, ma sono certa che chi ha lavorato bene fino a qui, mettendo al primo posto trasparenza ed etica, ne trarrà vantaggio, perché i nostri sostenitori sanno chi siamo e troveranno un modo per esserci accanto. Ne sono certa.

Siamo Italiani e se c’è una cosa che ci scorre di default nel sangue è la generosità.

E poi siamo fundraiser. Siamo chiamati a fare cosa, se non proprio questo?

Disclaimer
La foto dei Ferragnez è di Gazzetta dello spettacolo.

Parlare di fundraising a studenti universitari

Lo scorso anno mi è arrivata una proposta dal Collegio Universitario di Torino R. Einaudi che, per chi non lo sapesse, è stato la mia casa quando ero una giovane studentessa universitaria.

La proposta era allettante: organizzare nel 2020 un laboratorio di fundraising per gli studenti.

Io ovviamente ho accettato, perché l’opportunità mi incuriosiva molto. Ma cosa significa fare un laboratorio di fundraising per degli studenti di corsi universitari diversi tra loro?

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