Sarà la vecchiaia, sarà che sono malinconica, ma sono davvero sempre più sensibile verso la figura del Fundraiser, complice forse un’estrema scimmiottatura del nostro lavoro da parte di qualcuno che, invece di lavorare in modo onesto e proficuo per i colleghi, professa un credo ai limiti dell’etica e della correttezza in generale.
COMINCIAMO CON UN SALTO INDIETRO
Terminavo il Festival del Fundraising 2018 con una lunga riflessione sul lavoro del Fundraiser, su come veniamo considerati, su come veniamo visti. Una riflessione che è sfociata nel post (lunghissimo) che puoi leggere qui, e che noterai è davvero denso di pensieri e autoanalisi.
Ero al mio quarto Festival e allora, come oggi, ero in lotta con me stessa e con quella frase un po’ retorica che molti colleghi recitano: “Facciamo il lavoro più bello del mondo.”
Sarò pesante, sarò antipatica, sarò pure noiosa, ma a distanza di un anno ancora non ne sono convinta.
“Non c’è Fundraiser se prima e sotto non c’è una persona.” Ci ha insegnato Rita Girotti lo scorso anno.
E forse proprio da qui voglio ripartire, perché se lo scorso anno il regalo del Festival era una simpatica scatoletta con delle mentine, quest’anno il dono è stato davvero prezioso.
CONTINUIAMO CON TRE FRASI, UNA RICERCA E UNA PROFESSIONE
Nel 2018 sono stati censiti i Fundraiser d’Italia e proprio il 15 maggio 2019 è stato restituito l’esito di questa ricerca, attraverso il volume “I nuovi Fundraiser” edito da Maggioli Editore, che ci è stato donato alla fine della plenaria iniziale.
- Le raccolte fondi falliscono non per mancanza di donatori, ma per mancanza di Fundraiser.
- Noi facciamo le cose perché qualcuno ce le chiede.
- Nell’economia del dono tutti sono orientati a chiedersi perché la persona dona, ma si diventa donatori per un fattore situazionale.
Valerio Melandri ha scelto queste tre frasi d’impatto per riassumerci in breve la ricerca, per ricordarci quello che oggi è la figura del fundraiser, quale è la sua esigenza e come essa si colloca all’interno del mondo non profit.
Valerio ha voluto precisare che fare Fundraising non significa fare questo.
Non significa fare la questua.
Ma che piaccia o no, il Fundraising è fatto di strategie, relazioni, capacità di leggere il presente e saperlo proiettare nel futuro. Il vero Fundraiser sa ascoltare, si assume i rischi, battaglia con il board, fa valere la sua voce.
Dire che fare Fundraising è raccogliere soldi è fuorviante, offensivo e limitante!
Da questa erronea interpretazione del ruolo di Fundraiser si generano tutti i Fundraiser improvvisati. Quindi accanto al grafico cugggino, esiste ormai da tempo il Fundraiser cugggino, che non fa altro che nuocere gravemente alla salute di questa professione.
Nei giorni successivi al Festival ho iniziato a sfogliare il prezioso libro e ammetto di essermi ritrovata molto nei commenti dei colleghi, in quanti operano ogni giorno in questo mondo e si sporcano le mani.
Stare in un ufficio di raccolta fondi ti permette di imparare il mestiere e capire quali sono tutte le sue difficoltà, ti fa capire anche che il Fundraising va ben oltre la semplice richiesta di donazione e che il Fundraiser deve avere capacità multidisciplinari e skills differenti che vanno dal marketing alla sociologia, passando dalla politica alla capacità di relazionarsi con platee oppure con singole persone.
L’INGREDIENTE BASE E’ LA PASSIONE
Sicuramente il mattone comune per tutti noi Fundraiser è la passione. Molti di noi hanno stipendi davvero bassi per le responsabilità che abbiamo e addirittura in qualche caso si percepisce un compenso a provvigione che è quanto c’è di meno etico nel nostro mondo.
Trovare una risposta alla fatidica domanda: “Ma chi te l’ha fatto fare?” è davvero difficile, se non ci fosse alla base una grandissima passione per quello che facciamo e un forte legame con la causa per cui lavoriamo.
E forse questa passione a volte rischia di limitarci nel tentativo di professionalizzare e far riconoscere sempre di più la nostra figura.
FACCIAMO UN LAVORO DI MERDA
Dopo la sessione iniziale di Valerio, è comparso sul palco il comico Paolo Cevoli, in tutta la sua altezza e simpatia.
Noto ai più per aver interpretato personaggi come “L’assessore alle varie eventuali”, Paolo è riuscito a trasmettere un concetto davvero curioso, ma profondamente in linea con il lavoro del Fundraiser.
Il concetto in breve diceva così: Facciamo un lavoro di merda.
Sì perché il periodo che stiamo vivendo non è dei migliori, il Terzo settore è in fase di ristrutturazione e in questo momento le prospettive non sono proprio fantasmagoriche (leggetevi Zamagni a tal proposito, il suo intervento è mirato ai cattolici, ma fa riflettere!), aggiungo anche che in Italia abbiamo un gap culturale molto forte sulla figura del Fundraiser.
Facciamo un lavoro di merda, ma qualcuno dovrà pur farlo!
Perché altrimenti molte delle nostre organizzazioni non potrebbero andare avanti, molte realtà non potrebbero aiutare le persone che non hanno più nulla, e vi assicuro che il mondo sarebbe un posto davvero di merda se non ci fossero i Fundraiser.
E dico i Fundraiser, perché vanno bene i donatori, ma come dicevo sopra ci vuole anche qualcuno che chiede, programma, studia, analizza e gestisce, altrimenti le donazioni non arrivano!
Ricordiamoci allora che è bene prendersi cura anche dei Fundraiser ogni tanto!
ORA PERO’ PARLIAMO DELLE SESSIONI!
Se dovessi riassumere con una parola le sessioni a cui ho assistito quest’anno potrei usarne una: SURVEY!
Ebbene sì, ho fatto una full immersione nei questionari per i donatori, che sono molto utili per conoscere e profilare meglio il nostro database. Grazie a Sean Triner e all’Antoniano abbiamo potuto vedere come costruire un questionario vincente e utile per la nostra organizzazione. Mauro Picciaiola non ha avuto paura a condividere successi e insuccessi, proprio perché si impara dagli errori.
Altra sessione molto interessante, sempre a tema Survey, è stata quella di GreenPeace, con Ligia Pena e Sira Bertarelli, legata al Legacy Fundraising, i lasciti testamentari. Argomento ancora troppo scottante in Italia, ma che sta pian piano interessando molte organizzazioni non profit ed è bene quindi imparare ed attrezzarsi per chiedere al meglio.
Una cosa interessante che Ligia e Sira hanno ricordato è che la richiesta di un lascito non deve spaventare il donatore, va fatta nel modo giusto e al momento giusto nella storia del donatore. Ecco perché questionari e telefonate con il donatore sono fondamentali per capire al meglio come muoversi, per capire il donatore a che punto è del suo rapporto con il lascito.
Un grazie particolare poi alla Lega del Filo d’oro e alle tre fanciulle, Alessandra Piccioni, Elena Quagliardi e Silvia Ronza che hanno condiviso la loro esperienza di Fundraising con small, middle e major Donor. Sono rare le sessioni come la loro in cui ci sono numeri e esempi concreti dell’operato. Queste sono le sessioni che prediligo, perché, come in quella dell’Antoniano, senti la passione e la fatica che si intrecciano, ma anche la professionalità nel raccontare quello che hanno fatto senza la paura di essere saccheggiati delle proprie idee.
Ho voluto anche approfondire un po’ l’utilizzo dei file excel, che per i Fundraiser del Direct sono il pane quotidiano. Grazie a Sebastiano Moneta ho fatto un bel ripasso dei decili, dei centili, di moda, media e mediana. In questo caso una sola nota negativa: l’aula e il monitor non erano adatti alla presentazione, cosa che ha penalizzato un po’ Sebastiano. Il pubblico però era attentissimo, anche se la materia non è propriamente semplice da raccontare!
Infine la sessione su Instagram con Michele Messina, che credo sia una delle sessioni più applaudite del Festival. Se ripenso alle sue slide e a tutti i trucchi e i suggerimenti che ha dato…beh, c’è abbastanza materiale per trasformare le nostre organizzazioni nelle Ferragni-non profit del futuro. Che spettacolo!! Penso che le leggerò e rileggerò, ma soprattutto cercherò di convincere i colleghi della comunicazione per metterle in pratica!
Meraviglioso anche Bernard Ross, ricco di ispirazioni con il suo Oceano Blu e il suo Oceano Rosso!
Ovviamente al Festival è necessario fare delle scelte, quindi ho perso, per motivi di sovrapposizione, molte sessioni, ma grazie all’area riservata quest’anno le sto recuperando tutte!
QUALE SARA’ IL FUNDRAISER DEL FUTURO?
Direi che ti ho ammorbato abbastanza ed è tempo di chiudere questo lunghissimo post.
La domanda qui sopra ha accompagnato tutte le sessioni del Festival, portandoci a interrogarci su quello che saremo tra qualche anno. Il digital da diverso tempo ha fatto capolino nella raccolta fondi e la sta cambiando, così come stanno cambiando i donatori e c’è sempre meno fedeltà alla causa.
Sicuramente il Fundraiser del futuro dovrà essere sempre più curioso e skillato, deve saperne di raccolta fondi molto bene, non deve avere paura delle nuove tecnologie e deve imparare a gestirle, nel bene e nel male.
Il Fundraiser del futuro dovrà essere sempre più multidisciplinare, perché il Fundraising parla della vita, parla alle persone, parla al quotidiano.
Il Fundraiser dovrà saper dosare liquidità e creatività.
Il Fundraiser dovrà avere coscienza del passato, dovrà saper stare nel presente, con grandi capacità di leggere il futuro. Dovrà avere coraggio e grande speranza ed avere grandi sogni. Non dovrà fermarsi mai, perché chi si ferma è perduto!
P.S. Il Festival 2019 è stato per Unaerredueti l’occasione di lancio della sua Newsletter. Se ti interessa, puoi iscriverti qui.
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