Hvala – Un grazie di cuore

Questo post è 1% fundraising, 99% esperienza di vita.

In questo post non troverete una strategia di fundraising da mettere in pratica, non troverete qualcosa che ho scoperto bazzicando tra Milano e Forlì, ma troverete me.
Un po’ di fatti miei.

IL PROGETTO E LA ONLUS

Il giardino delle rose blu Onlus è un’organizzazione di Frosinone che si è innamorata dell’Ospedale Pediatrico di Gornja Bistra e porta lì i suoi volontari praticamente 365 giorni l’anno, grazie a dei campi permanenti.

Potete trovare il racconto di chi è stato qui per la prima volta, il presidente don Ermanno D’onofrio, e di come ha scelto di costruire questo grande progetto, passo dopo passo. 

PRIMA DI PARTIRE: pensieri, paure e consigli

Sono stata a Gornja Bistra quando avevo 18 anni e quella prima esperienza mi aveva colpito, ma da quel lontano 2005 non sono riuscita a tornare.  L’impatto era stato molto forte, avevo fatto il viaggio con molta preoccupazione, chiedendomi più volte: cosa stavo facendo.

L’ospedale pediatrico di Gornja Bistra ospita bambini con disabilità di diverso genere.

Sicuramente è un’esperienza forte, dove bisogna andarci con un minimo di preparazione e quando si è là non bisogna aver paura di lasciarsi andare alle emozioni, che possono essere un misto di gioia, rabbia, delusione, impotenza, felicità, tristezza…

Qualcuno ha pensato fossi un po’ pazza: “Ma lavori tutto l’anno in questi ambienti, anche quando vai in ferie devi cercarli?”.

“Ci sei stata anni fa….Perché torni?”

Domande, molte domande e tanti consigli, giustissimi, da parte di amici che mi conoscono bene e che giustamente si sono chiesti come mai non abbia prenotato un volo per i Caraibi piuttosto che un posto sul pullmino per Gornja.

Eppure sentivo che dovevo tornare. C’era qualcosa che mi trascinava là.

Avevo bisogno di darmi una seconda possibilità.

LA PARTENZA

Ho dismesso quindi le vesti dell’ufficio e mi sono tuffata a capofitto in questo campo di una settimana, grazie all’aiuto dei miei amici Chiara e Matteo, che mi hanno accolta nel gruppo in partenza: 18 ragazzi dai 16 ai 37 anni.

Il viaggio è parecchio lungo, ma davvero divertente, perché nel pacchetto “campo di una settimana” non può mancare il fattore: buona compagnia.

Dopo ore e ore di pulmino, nel pomeriggio di domenica 20 agosto, siamo finalmente arrivati all’ospedale di Gornja Bistra.

Davanti al cancello non riuscivo quasi a crederci, ero lì, di nuovo…finalmente! E quando N. ci ha accolto con il rituale del “controllo capelli” (sotto spiego perché! E i pidocchi non c’entrano!)…mi sono sentita di nuovo a casa. Come se in quei 12 anni non fossi mai andata via. Come se fossi stata lì solo il giorno prima.

una settimana, migliaia di emozioni

E’ difficile raccontare le emozioni che si provano durante queste esperienze, perché quello che vivi è davvero forte e davvero puoi passare dalla gioia al senso di impotenza nel giro di pochi minuti.

Durante la settimana ti ritrovi faccia a faccia con bambini che hanno storie davvero diverse, sempre difficili purtroppo. Inizi la domenica facendoti centinaia di domande e continui ogni giorno. Parli con gli altri volontari e cerchi di capire cosa si potrebbe fare di più. 

Ti senti impotente perché hai solo 7 giorni da donare e durante questi dai tutto te stesso per strappare loro un sorriso, ti ritrovi a fare cose assurde come gonfiare dei guanti di lattice e disegnarci sopra dei sorrisi, oppure nascondere 25 volte un cagnolino giocattolo per far sorridere un bimbo, oppure restare ferma ad ascoltare il silenzio mentre il bimbo che stai curando ha deciso di restare seduto a terra in mezzo al viale.

Speri di fare bene, perché a volte quando li prendi in braccio hai paura che si spezzino, oppure inizi a sperare che non ti cadano per terra quando, insieme a un altro volontario, li metti nel letto.

un genitore, uno zio, un amico più grande

I bimbi di Gornja diventano un po’ i tuoi figli in quella settimana, o i tuoi nipoti. Ti preoccupi che non prendano troppo sole, troppo vento, che siano puliti e lavati, che non abbiano residui di pappa sulla maglia, che abbiano una felpa se fa freschino, che abbiano il loro gioco preferito, che qualcun altro più grande non si sieda addosso ai più piccoli.

Ti accorgi che diventano un po’ tuoi quando, arrivato un gruppo di volontari per portare al mare alcuni bimbi, chiedi a ognuno di loro di mandarti le foto di un bimbo in particolare, perché vuoi sapere come sta e come reagisce la prima volta che vede il mare.

Diventano un po’ tuoi quando li chiami per nome e di ognuno di loro ti porti a casa un piccolo istante.

D. è il bimbo con cui ho trascorso più tempo, è l’ometto del “Miao, miao” “Bau, bau”, dice poco altro, ma quando lanci il suo cagnolino in aria, quando glielo nascondi, scoppia a ridere e ti trascina in un vortice di serenità.

Poi c’è M., che canta, eccome se canta! Ve lo farei sentire quando si diverte e intona insieme ai volontari Azzurro e se sbagli si ferma ad aspettare che azzecchi le parole.

C’è N., che adora i capelli lunghi, mentre lei purtroppo deve tenerli corti e quindi si diverte a chiedere alle volontarie di toccare i loro lunghi capelli lisci o ricci.

C’è A., che ha due occhi azzurri come il cielo, stupendi. Che ti guarda e sembra persa nel suo mondo, ma appena la prendi in braccio ti stringe forte e appoggia la sua testa sulla tua spalla e le sue gambe si aggrappano così forte che potrebbe sorreggersi da sola senza che tu la tenga.

C’è D., che ha un sorriso simpaticissimo, che dopo due secondi che sono entrata nella sua stanza mi ha fatto segno di sedermi sul suo letto.

C’è V., che ti dice dove andare e se tu non vuoi, ci vai lo stesso perché V. è così!

C’è P., che è altissimo, è un gigante e nel parco ha una strana abitudine: assaggiare il prato e la terra. Compito del volontario è dargli un’occhiata, che non si divori tutto! Anche se qualcuno sostiene siano ottime “vitamine”. Nema problema!

C’è I., che ha una forza immensa e riconosci la sua voce dai corridoi, il suo: “Gaghe gheghe gogo” è unico e dà il ritmo alle passeggiate!

C’è M., che vuole farsi portare in giro solo dai maschi e soprattutto da “Teoooo!”.

C’è D., che un pomeriggio mi ha fatto stare un’ora seduta sul vialetto mentre lui spostava i sassi, creando dei cerchi intorno a lui.

C’è V., che ha un volto sempre sorridente e non potrò mai dimenticare la prima volta che gli ho dato la colazione: ha tossito e mi ha lavato il camice. Ma poi ogni giorno mi salutava con un sorriso…e che bello quando con un altro volontario siamo riusciti a farlo alzare dalla carrozzina e a fargli fare qualche passo.

Diventano un po’ tuoi quando il sabato fai l’ultimo giro per salutarli e non ci riesci. Non riesci a dir loro che stai andando via. Ma loro lo sanno.

Ce l’hanno scritto negli occhi. 

M. mi ha chiesto se partivamo, le ho detto che saremmo andati via nel pomeriggio…mi ha detto di dire a Matteo, il ragazzo che guidava, di andare piano.

LA DIVISA, LA NOSTRA STORIA

I volontari si distinguono dal personale dell’ospedale grazie a una cosa: il camice bianco. Una “corazza” contro gli sputacchi durante i pasti, ma anche una specie di serra quando passeggi sotto il sole spingendo un passeggino.

Un pomeriggio, mentre annotavo un po’ di pensieri sparsi su questa esperienza, mi sono scritta questo :

“Quando lunedì alle 9 abbiamo indossato i nostri camici, erano tutti puliti e stirati. In questa settimana sono diventati colorati come una mappa del tesoro dai mille colori, che ricordano le pappe, la terra, l’erba… ognuno di loro racconta una storia e porta con sè le tracce dei bimbi, di quanti abbiamo cullato, abbracciato, imboccato e qualcuno anche cambiato. Di quei bimbi che hanno pianto perché non volevano tornare in stanza e di quelli che ci hanno fatto capire che la pappa non era di loro gradimento o che avevano mangiato abbastanza.
Ogni camice racconta la nostra storia, quanto abbiamo voluto esserci in questi giorni, quanto ci siamo tuffati in questa esperienza, in questo giardino (quasi) segreto!

UN NUOVO DESKTOP

Come avrete capito, l’esperienza è stata davvero unica. Sarà difficile dimenticare questa settimana a Gornja e spero davvero di tornarci presto.

Questi giorni hanno lasciato tanti segni su ognuno di noi, il primo, che mi sono ripetuta spesso, citando anche una canzone di Renato Zero, è che “siamo noi gli inabili, che pure avendo a volte non diamo”, perché troppo spesso ci lasciamo travolgere dalla routine, dalla quotidianità e dalla negatività. Lì a Gornja puoi veder sorridere anche il bimbo più malato, costretto a letto e magari con un sondino fisso per alimentarlo.

Vi dico solo che rientrata in ufficio ho voluto cambiare il mio desktop e sono passata da questo:

a questo:

E’ la vista che hanno i volontari dalla loro casetta, è l’ospedale con il parco giochi. E le bolle…montagne di bolle!

cosa ho imparato?

Ho imparato tanto. Ma tre cose in particolare.

  1. I volontari hanno sete di fare e vorrebbero fare sempre qualcosa di più.
  2. Non avere paura delle emozioni. Scrivo di emozioni ogni giorno, ma a volte ho paura a lasciarmi andare. A Gornja sei costretto a buttar fuori, altrimenti l’esperienza non attecchisce!
  3. Anche se non sono andata ai Caraibi, ho ricaricato le energie in modo pazzesco! I bimbi di Gornja sono un’ottima terapia!

P.S. Comunque sono stata a Trieste, quindi un po’ di mare l’ho visto! Ho visto anche una nave da crociera parcheggiata a 4 metri da piazza Unità d’Italia. Obbbbrobrio!

 

Credits: Le foto di questo post sono state realizzate durante la settimana da diversi volontari, perché ognuno con il suo cellulare ha catturato un diverso momento, ma tutte insieme fanno la storia di questa esperienza. Un grazie particolare a Michele (Pastor) per il supporto mentre ho scattato la foto con le bolle di sapone, non è un’opera d’arte a livello estetico, ma credetemi che è stato difficile fotografarle con un cellulare, anche se era un iPhone!
Il mio vecchio desktop è un fotogramma di una gag di Buster Keaton.

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